di Francesco Roncone
In Italia, la generazione dei nati negli anni cinquanta, la mia, è stata una generazione che ha vissuto e cresciuta, tutto sommato, nel benessere. Non ha conosciuto carestie, guerre e incurabili epidemie.
Protetta da uno scudo che i nostri genitori, dopo due tragiche guerre che avevano dilaniato tutto il vecchio Continente, avevano saputo innalzare con tanti sacrifici e con la volontà di ricostruire le nostre fondamenta sui valori di una società aperta, pluralista, democratica e solidale.
Fu su questi valori e per garantire pace, sviluppo, crescita economica e diritti civili che nacque l’Unione Europea. Nata sulle ceneri di due conflitti mondiali come tentativo di superare nazionalismi ed egoismi e i loro tragici esiti e nel ricordo della radice comune, della comune civiltà cresciuta attraverso scambi commerciali, morali e religiosi.
Oggi a settantuno anni dal primo Consiglio d’Europa, l’Unione Europea è ancora un cantiere aperto, sprovvista di quel senso di solidarietà e coesione che costituiscono l’impalcatura su cui innestare il sogno europeista dei Padri fondatori.
Egoismi nazionali e sovranisti, oggi scuotono dalle fondamenta l’integrazione europea, ed è bastato un virus, un maledetto e piccolissimo virus per rinnovare in qualcuno balzane aspirazioni antieuropeiste.
Oggi l’Europa e le nostre società, sono più che mai in crisi e non sembrano neanche capace di reggere l’urto di una emergenza sanitaria.
In casa nostra, dopo la crisi finanziaria del 2008 nulla è stato più come prima, la crisi delle ideologie politiche si è acuita diffondendo in tutti noi, disorientamento e assenze di certezze, diventando così facili prede dei Masaniello di turno a caccia di consensi e notorietà.
Personalismi e sovranismi che, capaci di false retoriche che riescono a diventare vere se ripetutamente pigiate nelle nostre coscienze e sensibilità, alimentano chiacchiere da bar mettendoci l’uno contro l’altro. Soggetti che si nascondono dietro una idea della politica profusa più per soddisfare istanze populiste che per convinzione, fomentando odio e pregiudizi a buon mercato.
Il nostro Paese non è un paese autosufficiente, la nostra produzione di beni dipende molto dai prodotti che importiamo dagli altri Paesi, che servono per la realizzazione degli stessi beni finali del nostro Made In Italy, petrolio, gas, manufatti, tecnologie, lo stesso smartphone, che ognuno di noi orgogliosamente possiede, viene prodotto all’estero. Sono questi tutti prodotti che all’indomani del ritorno alla lira, chiesta a più voci su alcuni media e social, dovremmo acquistarli comunque in Euro, senza contare ai dazi capaci, con l’uscita dall’Europa, di colpire le merci da noi esportate, che inevitabilmente innescherebbero un aumento generalizzato dei prezzi e un’inflazione a doppia cifra. Il nostro debito pubblico è rigorosamente in euro e ammonta a ben oltre 2.400 miliardi. Una uscita dall’Europa e dall’euro vedrebbe tutti i nostri creditori scappare via e lo Stato italiano si troverebbe costretto ad acquistare euro per ripagare i titoli in scadenza ai creditori, un scellerato quanto bizzarro paradosso. A quel punto il governo, qualsiasi Governo, si troverebbe costretto ad attuare misure economiche di austerity più dure di quelle contestate all’establishment europeo e a tagliare servizi e pensioni.
Queste mie considerazioni oggi possono apparire fuori luogo, l’emergenza è ben altra, ma sono certo che anche il coronavirus sarà presto sconfitto e quando tutto finirà, aldilà delle simpatie e schieramenti politici, rimarrà la consapevolezza che nessuno può farcela da solo, che esiste la necessità di un dialogo continuo tra i vari Stati e che l’unico vero grande Paese si chiami Mondo. È per questo che anche la nostra Italia ha bisogno dell’Europa di più Europa. Una politica europea più forte e collaborativa che non lasci nessuno indietro. Quando questa emergenza sarà finita ci ritroveremo a combattere una nuova e lunga battaglia, forse ancora peggiore di quella attuale, dovremo affrontare, l’Europa intera dovrà affrontare, il risanamento di una economia flagellata da una “guerra”. Spero, però, che Il coronavirus avrà saputo insegnarci che le battaglie si vincono assieme, o ci si salva tutti o si muore tutti!
Di Francesco RONCONE, Segretario Regionale FAP Acli Veneto
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